Comunicato del 17 luglio 2024

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Con sentenza n°13375/2024 del 3 Aprile 2024 la Cassazione, ribadendo un orientamento già consolidato, ha recentemente affermato il principio, secondo il quale in capo al chirurgo, che ha eseguito l’intervento, discenderebbe un obbligo di sorveglianza sulla salute del soggetto operato anche nella fase post-operatoria. Nel caso di specie un ginecologo era stato condannato per “omicidio colposo” dalla Corte di Appello di Salerno, che aveva confermato la sentenza resa dal locale Tribunale, poiché ritenuto responsabile del decesso, in un ospedale di Salerno di una puerpera (alla quinta gravidanza) a seguito di una emorragia da atonia uterina.

Il medico aveva fatto ricorso in Cassazione sostenendo, a sua discolpa, che dopo aver effettuato il monitoraggio post-operatorio, aveva affidato la paziente al ginecologo di turno,  di guisa che il Tribunale e la Corte di Appello avrebbero dovuto affermare il principio del doveroso affidamento del medico sull’attività dei colleghi per cui “può rispondere dell’errore o dell’omissione solo colui che in quel momento abbia la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi l’obbligo di vigilanza trasformarsi in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui” come già sostenuto dalla giurisprudenza di merito(Cass. Sez. IV, sent. n. 306206/2019). Sottolineando così che, eseguito correttamente il passaggio di consegne da parte del chirurgo operatore ai colleghi, le diagnosi e le omissioni realizzate da tali medici non potrebbero essere imputate al chirurgo delegante, rivestendo carattere di eccezionalità ed imprevedibilità. Trattandosi, infatti, di fasi di gestione del paziente completamente distinte e svincolate le une dalle altre.

Tale tesi non veniva accolta dalla Suprema Corte che ha riconosciuto il chirurgo responsabile di condotte omissione, per non aver accuratamente monitorato le condizioni cliniche della paziente mediante la rilevazione di parametri specifici (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, contrazione dell’utero, livelli di emoglobina nel sangue) che avrebbero consentito una diagnosi precoce dell’atonia uterina e dell’emorragia post partum in corso, in modo tale da prevenire ed impedire la progressione della patologia. Dalle consulenze tecniche in atti emerge l’assenza di dubbi in merito alla causa del decesso della paziente e alla corretta esecuzione dei due interventi e cioè del programmato taglio cesareo e dell’intervento di urgenza di rimozione dell’utero. Pertanto, le contestazioni mosse ai sanitari riguardano esclusivamente la gestione e il monitoraggio della fase del puerperio, ovvero delle prime ore immediatamente successive al parto.

I Giudici di legittimità, infatti, nelle motivazioni hanno richiamato le conclusioni a cui sono pervenuti i consulenti, evidenziando come la fase del post partum debba essere di attento monitoraggio da parte del personale sanitario, “essendo tale attività di controllo precipuamente volta a rilevare, con tempestività proprio i sintomi dell’emorragia post partum (…) responsabile del 30% di tutte le cause di morte materna”,… “il ritardo nell’intervenire, in caso di atonia uterina, porta con estrema frequenza, al decesso della puerpera”.

Ne discende così il principio che il chirurgo è diretto responsabile della fase post-operatoria ed è tenuto a predisporre un attento regime di monitoraggio del paziente.