Liste di attesa troppo lunghe: la Legge…
Comunicato del 16 settembre 2024
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La responsabilità medica è stata per molti decenni governata dall’incertezza, soprattutto in ambito civilistico, dove l’assenza di un quadro normativo efficace era stata colmata da un insieme di regole dettate dall’interpretazione dei giudici, diverse a seconda dei Tribunali.
La Legge 24/2017 c.d. Gelli è stata sicuramente un punto di approdo fondamentale nella delicata materia della responsabilità professionale medica, obbedendo principalmente alla finalità di alleggerire la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria come risposta al fenomeno della c.d. “medicina difensiva”, che si verifica quando il medico prescrive esami, procedure o visite non strettamente necessarie o o procedure ad alto rischio di complicanze, nel perseguimento di un proprio interesse cautelativo. Tale fenomeno ha spesso comportato un peggioramento del servizio pubblico, dovuto all’allungamento delle liste di attesa per il moltiplicarsi degli esami strumentali ed elevati oneri a carico della spesa sanitaria dello Stato.
L’art. 13 della Legge riguarda l’obbligo di comunicazione all’esercente la professione sanitaria del giudizio basato sulla sua responsabilità, la cui complessa applicazione rischia di minare, tra l’altro, la serenità dei professionisti e degli amministratori.
La disposizione presenta, infatti, alcune rilevanti problematicità sul versante applicativo della gestione di dette “comunicazioni” da parte della struttura (privata e pubblica) con riflessi sul destinatario, anche in termini assicurativi.
La citata norma impone alle strutture sanitarie e alle imprese di assicurazione, che siano destinatarie dell’atto introduttivo della domanda risarcitoria da parte di un soggetto che si assuma vittima di malpractice medica, di comunicare ai sanitari presunti responsabili del danno entro il termine di 45 dal perfezionamento della notifica nei loro confronti, l’instaurazione del giudizio, allegando copia integrale dell’atto; altresì vige l’obbligo per la struttura sanitaria e per le compagnia assicurativa, nello stesso termine, di comunicare l’inizio delle trattative con la controparte finalizzate alla composizione stragiudiziale della nascente lite. La disposizione normativa prevede, in caso di omissione, incompletezza o tardività di tali comunicazioni, l’impossibilità per la struttura sanitaria di agire in regresso nei confronti del sanitario dipendente e per il pubblico ministero contabile di convenire il medico in giudizio per domandare la riparazione del danno erariale indiretto provocato all’azienda sanitaria pubblica.
Sono sorti dubbi interpretativi in ordine all’idoneità del ricorso ex art. 696-bis c.p.c. (accertamento tecnico preventivo) e della richiesta di mediazione a fondare l’obbligo di comunicazione ex art. 13 L. 24/2017, non configurandosi quali procedimenti giudiziari in senso stretto, come il giudizio ordinario o quello con rito sommario ex art. 702- bis c.p.c. Malgrado le suggestioni interpretative, sia la giurisprudenza contabile sia il consolidato orientamento della Cassazione propendono per una tesi che riconduce l’accertamento tecnico preventivo nella categoria dei giudizi conservativi, ovvero dei giudizi cautelari di istruzione preventiva, preferendo l’inquadramento di tale procedimento come “giudiziale”, il cui successivo giudizio di merito si configurerebbe solo come fase eventuale.
Va riconosciuta, a tal proposito, l’importanza, a distanza di 7 anni dell’emanazione della citata Legge, dei relativi decreti attuativi licenziati nel marzo scorso, che potranno chiarire le questioni di ordine pratico ma, tuttavia, il mondo sanitario di oggi non è più quello di sette anni fa e sarebbe importante valutare potenziali percorsi di modifica della Legge, tenendo conto degli sviluppi delle teorie sul risk management e delle recenti pronunce giurisprudenziali in tema di responsabilità sanitaria, nell’intento di trasformare il concetto di responsabilità sanitaria in quello di sanità responsabile.